È ovvio che dispiace scoprire che il cadeau è di “seconda mano”; ci si sente “svalutati”. Occorre, però, pensare che il dono in sé non conta tanto quanto la condivisione di affetti e interessi con le persone care
La laurea è sempre un bel traguardo e un modo per celebrare la gioia della neo dottoressa o del neo dottore è fare un regalo, magari in occasione di un pranzo con tutti i parenti. Alla festa di Valentina, una zia che vive in un’altra città si è presentata con un pacchettino che, una volta aperto, ha svelato un orologio: vezzoso, rosa, con i brillantini. Ma decisamente più adatto per una bambina che per un’aspirante biologa… Vista la garanzia, la ragazza è andata al negozio, sperando di poterlo cambiare con qualcosa di più indicato per lei. Impossibile, perché si tratta di una collezione di almeno due anni prima. Valentina ha fatto due più due: la zia ha riciclato un regalo ricevuto da sua figlia alla Prima Comunione. Parenti e amici che riciclano senza scrupolo alcuno i regali un po’ fanno ridere, ma un po’ fanno anche rimanere male: niente è dovuto, ma possibile che uno dono venga vissuto come un fastidioso “dovere” che non si ha alcuna voglia di fare? «È un’esperienza che prima o poi capita a tutti: sia quella di riciclare un regalo, sia quella di riceverne uno evidentemente riciclato. Sperando che non ci sia tornato indietro addirittura qualcosa che avevamo regalato noi!», dice scherzando Benedetta Comazzi, psicologa a Milano. «È una tematica che sembra più appartenere al bonton che alla psicologia. Ma in effetti, quando capita di esserne i destinatari, le sensazioni che si provano sono poco gradevoli. Di per sé, però, non ci sarebbe nulla di male se la zia di Valentina avesse pensato che l’orologio fosse proprio nello stile della nipote, e meno adatto per la sua bambina, e avesse perciò deciso di regalarglielo: dietro al dono, anche se non preso personalmente in un negozio, ci sarebbe comunque un’attenzione verso la persona a cui è destinato, un “pensiero” – quello che proverbialmente dovrebbe bastare – per lei».
Il problema del riciclo in una relazione familiare o amicale stretta sta infatti nel significato che diamo al regalo: «Dalle persone che amiamo ci aspettiamo di essere considerati “unici” e quindi che un dono sia davvero per noi, ci piace l’idea che chi ce lo fa abbia speso soprattutto del tempo per sceglierlo, trovarlo, andare ad acquistarlo. Il riciclo viene vissuto come una sorta di svalutazione personale: “Per lui/lei non conto abbastanza e quindi non si degna neanche di pensare a cosa regalarmi, ma apre l’armadio e vede cosa ha già in casa e non gli/le serve o non gli/le piace”, e questo ci addolora». Che fare con chi ci ha ferito o ha il vizio di riciclare sempre i regali? «Se il legame è di confidenza, nulla ci vieta di parlarne con il diretto interessato», risponde la psicologa. «Anche spiegandogli le circostanze, come in questo caso in cui Valentina è andata al negozio perché pensava di cambiare il dono con qualcosa di più adatto, e comunicando anche il proprio vissuto, il fatto di esserci rimasti male per la sensazione di essere “una perdita di tempo”. E poi magari provare a dire che il problema non è l’oggetto riciclato in sé – che a volte può anche piacere – ma il sentire distante la persona e il sentirsi svalutati da qualcuno a cui invece si tiene. Perché quando il regalo riciclato arriva “dall’amico dell’amico dell’amico” venuto alla festa e che deve farci il regalo per forza o da una cugina di terzo grado con cui non si hanno legami il fastidio, se c’è, è limitato».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento di Soriano Calabro (Vibo Valentia), «Ormai commercializziamo tutto, anche gli affetti. Mentre la dimensione evangelica prevede “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, andando al di là del valore di un regalo in se stesso.
Il dono più bello è la presenza, al di là delle ricorrenze: ricordarsi della persona solo quando c’è una cerimonia o un compleanno è puro formalismo o, peggio, una seccatura di cui si farebbe a meno e quindi da sbrigare il più presto possibile, anche riciclando un oggetto qualunque. Un gesto apparentemente innocente, ma che di fatto non tiene conto della dignità della persona, perché un regalo è tale solo se in relazione alla persona a cui è destinato, magari anche considerando un suo bisogno: quando c’è un legame vero, si è anche in grado di intercettare le esigenze dell’altro, anche chiedendo, invece di acquistare cose inutili che poi facilmente vengono riciclate… Senza dimenticare che il regalo non è obbligatorio: ciò che conta con l’altro è un percorso di vita, interessi e valori condivisi, e un dono è bello quando si lega a un’occasione particolare, non per forza a una data ricorrente su un calendario, che sia il compleanno o Natale. Un altro modo per evitare di cadere nel riciclo è unire le forze, con amici e parenti, per fare un regalo più utile e di maggior valore – per esempio un weekend di riposo al mare o in montagna -, invece che tante piccole cianfrusaglie. Il regalo acquista così una dimensione di comunione di affetti, di intenti, di premura condivisa verso l’altro e le sue necessità e chi lo riceve si sente destinatario di amore collettivo. Il dono deve sempre essere di sé – anche solo della propria attenzione – e non di qualcosa».
Maria Truncellito – In “Maria con te”, n. 44 del 30 ottobre
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