La riabilitazione, però, non consentirà a Cuffaro di superare lo scoglio della interdizione perpetua dai pubblici uffici stabilita nel verdetto e, quindi, di ricandidarsi. In forza della cosiddetta legge spazzacorrotti dovranno trascorrere 7 anni dal provvedimento di riabilitazione perché si estingua la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici quando il condannato “abbia dato prova effettiva e costante di buona condotta”. Contro il provvedimento del tribunale di sorveglianza presenterà opposizione il legale di Cuffaro, l’avvocato Marcello Montalbano, secondo il quale all’ex governatore non si sarebbe dovuta applicare la “spazzacorrotti”.
Secondo i giudici del tribunale di sorveglianza, oltre ad aver scontato la pena, Cuffaro, “ha ritenuto di manifestare pubblicamente la presa di distanza dal fenomeno mafioso, dichiarando che ‘la mafia è una cosa che fa schifo. Lo continuo a dire perché quando l’ho detto qualcuno ha riso sopra, ma la mafia fa schifo ed è il più grande cancro che abbiamo in Sicilia’”.
L’ex governatore, inoltre, ha allegato alla sua istanza “una notevole mole di documenti da cui emerge un’importante e continuativa dedizione ad attività di volontariato e partecipazione a numerose iniziative legalitarie in difesa dei diritto dei detenuti”.
I magistrati citano i viaggi in Burundi, presso l’ospedale “Cimpaye Sicilia”, di Cuffaro che ha messo “a disposizione della comunità locale le proprie capacità organizzative e sanitarie al fine di favorire un più ampio progetto di assistenza e le raccolte fondi finalizzate alla realizzazione di progetti di sviluppo nel Burundi e nel Niger”.
E ancora Cuffaro ha “scritto tre romanzi col dichiarato intento di devolvere i proventi delle vendite a sostegno dello sviluppo di progetti di recupero a vantaggio dei detenuti nonché per la cura della sclerosi multipla”.
Infine il tribunale dà atto all’ex governatore di aver pagato tutte le spese processuali e di mantenimento in carcere e di aver versato alla Regione Sicilia i 158.338 euro a titolo risarcitorio che gli aveva imposto la Corte dei Conti.
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