Sarà presentato oggi (25 agosto), in piazzetta Bagnasco a Palermo il libro “Matteo Messina Denaro, latitante di Stato” di Marco Bova.
Un clamoroso libro inchiesta sulla caccia fallimentare a Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993, ultimo dei boss protagonisti della stagione stragista di Cosa Nostra ancora a piede libero.
Il caso relativo alle indagini per la cattura di Matteo Messina Denaro , che ha visto protagonista il finanziere originario di Termini Imerese Carlo Pulici, torna alla ribalta della cronaca. Prima l’archiviazione del caso da parte della Procura di Palermo, ora anche la Procura di Caltanissetta sembra essere dello stesso avviso.
Ex assistente della pm Teresa Principato, per la prima volta il finanziere termitano Carlo Pulici si racconta in un’intervista a Marco Bova, accompagnando, asetticamente il lettore nelle varie fasi della vicenda che ha visto emergere degli aspetti, secondo la difesa di Pulici, ancora da approfondire. Il finanziere, per espressa volontà del magistrato lavorava, anche fisicamente a stretto contatto della stessa, disponeva, infatti, di una scrivania all’interno della stanza della Principato. Nell’estate del 2015, dopo trent’anni di servizio presso gli uffici della Procura di Palermo, viene allontanato dall’ufficio, perché denunciato da un collega riguardo a delle, presunte, molestie telefoniche.
Il procedimento venne poi archiviato, si rivelerà, infatti, solo un pretesto per fermare l’appuntato e le sue indagini. Intanto, la posizione di Pulici si complicava, di giorno in giorno, essendo oggetto di accuse sempre più gravi che ledevano, inevitabilmente, la reputazione personale e professionale dello stesso. Tutte le accuse, alla fine, risultarono infondate e sfociarono in archiviazioni o in assoluzioni. Le inchieste che travolsero il finanziere Pulici finiranno per travolgere la stessa Principato, all’epoca a capo del pool costituito al fine di catturare il super latitante Matteo Messina Danaro, e il procuratore di Trapani, Marcello Viola, impegnato, anche lui nel pool, che oltre ad occuparsi della cattura del boss mafioso stava seguendo l’indagine, particolarmente delicata sulla massoneria trapanese e le protezioni eccellenti di cui gode da sempre il latitante, come infatti conferma all’autore la pm Principato: «Sono stata fermata mentre erano in corso le indagini proprio sulla massoneria».
La sconcertante scomparsa dei dispositivi di Pulici, custoditi all’interno dell’ufficio della pm Teresa Principato, è stata infatti denunciata dall’avvocato Antonio Ingroia alla Procura di Caltanissetta, per “gravi omissioni” della Procura di Palermo. Secondo l’avvocato i pm palermitani avrebbero dovuto trasmettere l’inchiesta ai colleghi nisseni, anziché trattenerla e archiviarla a modello 45, cioè i fascicoli privi di notizia di reato.
La vicenda, descritta nei dettagli nel libro-inchiesta, si va a intersecare al subdolo gioco delle piste (che potevano portare alla cattura di Messina Denaro) svelato in un apposito capitolo del libro; piste via via affossate, fatte cadere o abbandonate e nel quale per certi versi rientra anche la vicenda sin qui rimasta inedita per il modo in cui viene raccontata, del cosiddetto sindaco dei misteri, Antonio Vaccarino che rilascia l’ultima intervista all’autore prima di morire di Covid in carcere.
Mentre infatti era in corso la caccia a Provenzano, si era tentata l’opportunità di afferrare Matteo Messina Danaro, tramite il discusso ex sindaco. Questa vicenda è svelata in modo inedito con verbali e interviste che nella loro contraddizione mettono a nudo una parte ancora oscura degli anni legati alle stragi degli anni 90. Intanto, Pulici dopo il suo allontanamento dalla Procura di Palermo al rientro dalle ferie estive del 2015, verrà autorizzato a recuperare i suoi file soltanto a dicembre di quell’anno. Il colpo di scena però non tarda ad arrivare: durante l’accesso, accompagnato da alcuni funzionari, Pulici si accorge che mancano all’appello un mini pc da 10’’, utilizzato per tutte le trascrizioni e in cui vi erano custoditi i file di indagine su Messina Denaro, e due pen-drive contenenti il backup. Dove sono finiti quei dispositivi?
La storia della cattura mancata di Matteo Messina Denaro, che da quasi trent’anni macchia la buona volontà del nostro Paese ad acciuffare l’ultimo dei corleonesi (quasi sicuramente in possesso di segreti che come incubi ancora ci inseguono) è anche il risultato di una fitta coltre di sovrapposizioni tra strutture investigative, procure, forze dell’ordine e qualche magistrato compiacente come emerge dalla riproduzione inedita di una intercettazione (p. 99). Una caccia che se da un lato, come si leggerà, ha prodotto una lunga serie di depistaggi ed ostacoli agli investigatori in buona fede, si rivelerà anche panacea per una fitta lista di personaggi che da questa avventura hanno beneficiati in termini di carriera.
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