Oltre all’indicazione della Madre di Dio in lingua greca del soggetto, troviamo l’incontro con il giusto sacerdote ebraico Simeone. Nei fatti si apre lo scenario alla visione delle vicende del vecchio testamento che ornano le zone mosaicate più alte della grande navata della Cappella. Questa scena è riferito dal Vangelo secondo Luca 2,22 – 39. Durante la visita Simeone annunciò che il bimbo sarebbe stato la luce del mondo, ma anche simbolo di tante contraddizioni, ma anche un’ottantaquattrenne profetessa Anna annunciò che il bambino sarebbe stato il messia. Questa presentazione era di fondamentale importanza per l’epoca perché descriveva una cerimonia a cui tutti i figli maschi dovevano sottoporsi, così come veniva descritta dai libri dell’esodo, un riscatto per il bambino con l’offerta che ricopriva la purificazione come descrive il libro del Levitico 12,6-8. Proseguendo il viaggio attraverso la lettura dei mosaici entriamo nel Diaconico dove troviamo la Pentecoste, un mosaico che si trova nella cappellina a destra dell’abside maggiore. Li troviamo la discesa dello Spirito Santo sotto forma di colomba con i 4 Arcangeli, ed hai lati i 12 Apostoli dove ricevono il dono delle lingue per poter profetizzare ed annunciare al mondo la resurrezione del creatore, grazie alle scritte vicino ad ogni cerchio ‘’il Santo Spirito‘’, con la scritta centrale a destra e sinistra del mosaico ‘’ la Pentecoste’’.
Questa scena e’ descritta negli Atti degli Apostoli 2,1-2. 2,3-4. 4,3-1. E poi in Giovanni 14,26. 14,16. Sul tratto della parete orientale del Diaconico, al di sopra del mosaico raffigurante la nascita di Gesù troviamo in posizione più rialzata il Cristo Pantocratore Benedicente: ai lati della immagine troviamo a destra e sinistra le scritte greche, con il libro aperto ‘’io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita’’, questo passo lo troviamo nel Vangelo di Giovanni 8,12-20, durante una predicazione del tempio dove nessuno l’arrestò perché non era giunta ancora la sua ora. La scritta sotto la figura benedicente del Cristo mette in evidenza una profezia di Gioele scritta in latino, relativa al giudizio finale che mette in evidenza il significato escatologico tenuto nelle mani: La stella genera il sole la rosa il fiore, la forma la bellezza; avviene un suono dal cielo e secondo gli scritti di Gioele la veemenza del Santo Spirito riempì i discorsi, accedendo i petti dei pari discepoli affinchè, a mezzo a loro, il Verbo della Vita distrugga ogni cosa superba. Infatti la profezia riguardava il giorno della Pentecoste e ciò che ne sarebbe successo agli apostoli. Dio sopporta il male più di quanto noi possiamo comprendere, ma la sua pazienza non dura in eterno. Quando Gioele annuncia il giorno del Signore è come se dicesse che la pazienza di Dio è agli sgoccioli e sta per arrivare la sua ira. Da qui abbiamo proseguiamo con ‘’ La Natività di Nostro Signore’’, nella parete est, ‘’il Sogno di Giuseppe e Fuga in Egitto’’, nella parete sud, nella parete ovest troviamo il mosaico ‘’Gli Ebrei Ossequiano il Pantocratore Benedicente: in questo mosaico si legge un chiaro avvertimento, estromessi dalla loro terra d’origine e sparpagliati nell’orbe, questa immagine per l’epoca era molto evocativa perché aveva un messaggio di ritorno verso coloro che avevano udito ma non avevano creduto durante la prima venuta, un chiaro messaggio per non farsi trovare impreparati. Nelle pareti esposte al sud troviamo i mosaici del ‘’Battesimo di Nostro Signore’’ con lo Spirito Santo che si compiace e benedice il figlio, ma con la scure che simboleggia i rami secchi da tagliare, simbolo de talenti di Dio che non portano frutto durante l’arco della propria vita. Sempre nella parete sud troviamo la ‘’TRASFIGURAZIONE’’ avvenuta sul monte Tabor: trasfigurandosi davanti ai suoi discepoli, un Cristo affiancato alla propria destra ed alla propria sinistra dai Profeti Elia e Mosè. Infine questo ciclo del Diaconico si conclude con ‘’L’Ingresso in Gerusalemme’’, dove i fanciulli in festa sono il tema ricorrente dei puri di cuori che inneggiano alla gloria del Signore che erediteranno il regno dei cieli. Dopo la descrizione della Cupola e del Diaconico, possiamo iniziare con la lettura dei Mosaici della Grande Navata.
Questi mosaici sono attribuiti all’età di Guglielmo I, infatti troviamo tutta la sequenza del vecchio testamento risalenti al periodo del 1150, al di quà dell’arcata che separa la zona del transetto e le navate della Cappella, possiamo partire dalla lettura dell’opera denominata ‘’La Creazione della Luce’’, dove si possono rintracciare le scritture nella lingua latina, seguirà ‘’La Creazione del Firmamento’’, con ‘’ La Separazione della Terra dalle Acque’’, in seguito troviamo ‘’La Creazione degli Astri’’, sempre sulla stessa linea di lettura troviamo ‘’LA Creazione dei Pesci e degli Uccelli’’ i ‘’ Quadrupedi con la Creazione di Adamo, ‘’Il Riposo dell’ Eterno’’. In questo contesto si ripropone come lo studio della luce, come la luce stessa che proviene dalla complessa fattura dei materiali utilizzati per la costruzione di queste composizioni, danno la forma al lavoro di Dio secondo la sua volontà di rendere il mondo un luogo accogliente per tutti gli esseri del creato: la luce è il principio di tutte le cose della creazione, Genesi 1,2 << e Dio vide che la luce era cosa buona >>. Essa divenne la realtà di tutta la creazione: cielo, terra, mare, astri, e pesci, uccelli, animali, l’uomo, perché tutti vengono alla luce. La luce è associata alla vita, per vivere e camminare nella luce e per sfuggire alle tenebre e diventare figli della stessa luce. Questo tema rientra nei mosaici bizantini come tema fondamentale da trattare in tutte le epoche per la lettura stessa di un lungo processo che porta all’evangelizzazione di un luogo creato da Dio ed affidato a Cristo Gesù durante il continuo transumanare dopo la cacciata dal paradiso terrestre per rientrare nella volontà dell’ Eterno Padre che tutto crea e che tutto muove alla perfezione per mezzo della parola stessa che porta l’umanità ad essere guidata nelle vie della vita, Salmo 119,105; Sap 7,10 e 7, 26. Nei fatti questo tema visivo riprende i mosaici trattati di cui sopra come quelli del nuovo testamento della ‘’Trasfigurazione’’ do ve la luce proviene anche dagli Angeli ed a tutti i personaggi che appartengono alla sfera divina. Gesù inteso come luce del mondo ed il principio e la fine di tutte le cose, che per mezzo dello Spirito Santo compiace lo stesso Dio nel mettere in pratica le azioni che provengono da un nuovo sovvertimento delle cose e per accedere alla perfezione degli insegnamenti,diventando degni di essere chiamanti figli dell’altissimo, Giovanni 1,1-5. Giovanni 8,12. 9,5. 12,36. 12 ,46.
La Luce della vita si oppone alle false luci che sono i falsi progetti di vita: Luce/Vita che s’incarna in Gesù, la parola di Dio divenuta persona umana, Giovanni 1,14. Ecco perché i mosaici della Cappella Palatina in stile Bizantino conservano tutte le caratteristiche per una buona comprensione dei testi sacri, letti durante la liturgia, per una ascesa dello spirito per mezzo della fede durante la contemplazione che porta l’adoratore ad essere in comunione con la volontà di Dio nella preghiera. In Questa parte dei mosaici possiamo attribuire un’appartenenza nella datazione in un periodo precedente a quello di Guglielmo I, ma che rientrano nei canoni del lavoro portato avanti dai maestri del mosaico di Ruggero II. Da qui seguono i mosaici ‘’ Il Frutto Proibito’’, si prosegue con ‘’ La Creazione di Eva’’, una comunione di stili che si fondono con i contorni accentuati dei precedenti mosaici che cambiano espressione, ma soprattutto nei contorni più o meno marcati, per dare vigore e forza alle forme che sembrano concretizzarsi nello svolgimento delle proprie azioni che portano ad evidenziare l’atto di compimento del peccato. Uno manovra eseguita dall’abilità dei mosaicisti che ritroviamo nel sottolineare le figure degli uccelli o di elementi che statici rendono una visione ben chiara della loro funzione nel simbolico di libera interpretazione, come nel movimento delle foglie degli alberi, nonostante tutto fosse impressionato in maniera fotografica e statica come in una posa pittorica che attende di essere riprodotta e raccontata. Andando avanti troviamo ‘’Il Peccato originale’’, si prosegue con ‘’Eva e il Serpente’’ segue la scena ‘’Il Rimprovero dell’Eterno’’, e la ‘’Cacciata dal Paradiso’’, ecco questi ultimi sono attribuibili ad un lavoro che può essere focalizzato ad un periodo posteriore al 1150, visto la lavorazione del mosaico che per brevi accenni si identificano per stile e forma a quelli di lavorazione veneta, come quelli che si possono riferire alla cupola dell’atrio di San Marco.
Da quì bisogna sottolineare che per la migliore e veritiera comprensioni di queste opere visive, bisogna conoscere ed accostarsi al libro della Genesi, dal capitolo 1 al capitolo 50, soprattutto per la complessità di quelli che verranno a seguire nelle scene di natura compositiva più complessa nell’accostamento dei simboli che compongono le scene narrative delle figure. Si procede con ‘’Il Lavoro di Adamo’’, con il mosaico ‘’Il Sacrificio di Abele e Caino’’, con la scena ‘’Noè fa Uscire gli Animali dall’ Arca’’, questo simbolo di rinascita nella speranza di tutta l’umanità di ripopolare il mondo secondo una nuova visione che prende le distanze dalla cacciata dal paradiso e l’estirpazione dal male inteso come tenebre che ha corrotto la creazione di Dio con il peccato: questa scena è contenuta nei pennacchi delle arcate della grande navata della Cappella, dove l’espressione patetica del Patriarca e dei familiari esce fuori dalla notevole azione d’ispirazione che incarnano i visi che vivono all’unisono con l’eterno, ispirati dall’amore che muove ogni cosa. Qui possiamo rintracciare la stanchezza del viaggio con la speranza del raggiungimento di una metà con tutte le aspettative nuove, dove tutto è un incognita dopo la distruzione dell’umanità che ha disubbidito a causa della corruzione dei costumi che ha generato il vizio e la ricaduta per la seconda volta. Scene differenti a quelle del Diaconico, ma realistiche nel raccontare un passaggio biblico di fondamentale importanza per il conseguimento di un fine voluto dallo stesso Dio. Questo lo possiamo rintracciare con la scena degli animali che abbandonano l’arca per riprendere possesso della creazione voluta nella parola biblica, dove lo stesso Dio mette fine al viaggio di Noè riaffidandogli un compito nuovo di ripopolare la terra. Sembra quasi che il libero arbitrio sia rimarcato ed accentuato a nuovi propositi per un nuovo indirizzo che indica la via all’intera umanità. Segue il mosaico sul pennacchio della ‘’Torre di Babele’’, scene ben lontana da una visione aulica, ma che sottolineano un’altra caduta dell’intera umanità che non ancora ben compreso la volontà di Dio e dei suoi statuti. Così seguirà la scena dei ‘’Tre Angeli di Abramo’’, un’apparizione che esalta la grandezza di Dio con il ritorno della grazia, ma soprattutto l’annuncio per la futura distruzione di quei luoghi che hanno proceduto con l’esaltazione del vizio e del peccato, trovando tutta l’eleganza di un’espressione che ritrova la propria intesa con il sacro. Segue la scena del pennacchio del ‘’ Il Sacrificio di Isacco’’, la scena del pennacchio di ‘’Rebecca che disseta i Cammelli’’, con ’’La partenza di Rebecca’’.
Un particolare importante lo ritroviamo nella metà sinistra del pennacchio dell’ultima arcata, nello stesso lato della scena della ‘’Benedizione di Isacco’’. Si tratta del ‘’sogno di Isacco’’, qui troviamo una forma disegnativa stanca dei personaggi, con una disgregazione partendo dalla scala fino al termine dello stesso Dio che s’affaccia dalla sfera celeste: questa lettura del mosaico si può rintracciare nel libro della Genesi 28, dal verso 11 in poi possiamo rintracciare la visione del sogno con l’eterno che parla ad Isacco. Segue nel pennacchio dell’ultima arcata che s’apre dallo stesso lato di quello di Rebecca che disseta i cammelli, oltre la scena delle benedizioni di Giacobbe, il mosaico di ‘’ESAU’ va a Caccia’’, una scena poco elaborata e grossolana in confronto alla finezza degli altri lavori che impreziosiscono la Capella, soprattutto nella scelta dei materiali di diversa qualità nei confronti di quelli utilizzati nel Diaconico e nella Cupola.
Adesso trattiamo i mosaici delle navatelle di destra, e di sinistra che compongono la Cappella: iniziamo con la scena della vita di S.Paolo, raffigurata nella navatella destra della Palatina, questa si ritiene eseguita intorno al 1160 fino al 1170 circa, insieme ad altre scene della vita dei Santi Pietro e Paolo nelle navatelle della Cappella. Questa sarebbe un’opera di maestranze locali, istruite da greci, che si sarebbero poi trasferite a Cefalù per la realizzazione delle pareti del Duomo, queste rappresentazioni sono le immagini dei Santi e Profeti, immagini evidentemente assai più tarde in confronto a quelle dell’abside mosaicata prima del 1148. In queste scene riprodotte si assiste al battesimo di Paolo da parte del battezzatore Anania, ‘’Anania Battezza San Paolo’’, dagli atti degli Apostoli 9-31, nella conversione di Paolo. Segue il Mosaico di ‘’ San Paolo a Damasco’’, di alta qualità compositiva che per quanto riguarda le maestranze locali di fattura bizantina, anch’essa riconducibile al periodo del Re normanno Guglielmo I. una lettura dell’opera che vede Paolo seguire le orme di Gesù Cristo che lo cambia nello spirito verso una grande conversione avvenuta per mezzo della visione, ma soprattutto grazie alla parola udita dallo stesso Gesù che si rende visibile a Paolo per una vita nuova, così da divenire uno dei più grandi missionari espandendo l’evangelo nel mondo del mediterraneo.
Fuggendo più volte alla persecuzione l’Apostolo si trova a fronteggiare moltissime insidie lungo la strada che deve percorrere: vivere è Cristo, morire è guadagno. Da quì proseguiamo con il mosaico ‘’L’Angelo Libera San Pietro’’, sempre sotto Gugliemo I, il mosaico riprende il tema biblico dagli atti degli Apostoli 12,1-11. Passando alla navatella di sinistra vediamo il mosaico di ‘’San Pietro Risana il Paralitico’’, negli Atti degli Apostoli sono riportati i prodigi non comuni che Dio operava attraverso Pietro e Paolo e gli altri Apostoli, in questo troviamo un chiaro riferimento in Atti 9,32-35. Nel mosaico che segue troviamo il riferimento biblico in Atti 9,36-41, dove tratta ‘’San Pietro Risuscita Tabita’’.
L’ultimo mosaico di destra ‘’ San Pietro e San Paolo e Simon Mago davanti a Nerone’’, in questa scena di cui si potrebbe parlare per ore intere, dove gli Apostoli ed il nuovo battezzato Simon Mago dall’Apostolo Filippo, incontrano l’Imperatore Nerone, simbolo della persecuzione dei cristiani e della distruzione della città di Roma a causa dell’incendio che lo stesso imperatore fece ricadere a discapito dei nuovi credenti che aumentavano di numero in quel periodo storico, lo stesso Apostolo Pietro e Paolo ne parlano negli Atti degli Apostoli. Infine terminiamo la lettura della Cappella Palatina con la parete di Fondo della grande navata: qui troviamo l’immenso mosaico a parete dal titolo ‘’Il Redentore in Trono tra i Santi Pietro e Paolo’’.
Questo mosaico riveste la parete occidentale della Cappella dedicata ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, assegnato al periodo aragonese, in tutto il suo splendore con un Gesù Cristo seduto in trono, nell’atto di benedire con la bibbia nella mano destra, attorniato da Angeli benedicenti. L’opera del Cristo Pantocratore della Cappella Palatina di Palermo, merita un ulteriore approfondimento: la Cappella e’ una basilica in puro stile normanno-bizantino fatta consacrare nel 1140 da re Ruggero II di Sicilia, nei fatti nella fase normanna abbiamo la commissione della crociera, della cupola, e degli absidi. Il nostro interesse si riflette nella descrizione del Cristo Pantocratore che raffigura Gesù in gloria, tipica rappresentazione dell’arte bizantina e in genere nell’arte paleocristiana e anche medievale. Si vuole aggiungere che la Cappella Palatina in tutto il suo splendore fatta di mosaici, presenta al suo interno il numero di tre Cristo Pantocratore, come quello dell’abside centrale che tiene il libro aperto, e dove si possono rintracciare al proprio interno le due scritte in latino ed in greco che danno un valore descrittivo maggiore al valore dell’opera stessa.
Ogni opera bizantina non ha bisogno di altri riferimenti, è puramente autonoma da ogni opera che vive nelle vicinanze della stessa. Al suo interno troviamo i caratteri semplici di una ricerca spirituale, dove l’artista o gli artisti lavorano come se fossero tenuti dalle mani dello stesso Dio, per dar luogo all’esecuzione dell’opera che racconta la bellezza della rivelazione celeste sulla terra. Infatti la scelta stilistica dell’ipostazione dei simboli o dei corpi è sempre sottomessa al canone dell’ obbedienza, che tale esecuzione tecnica del mosaicista è soggetta per il grande rispetto della regola artistica, imposta dalla ricerca dello spirituale su questa terra. Si parla di una vera è propria dottrina dell’arte che trova le radici nel mondo trascendentale, e poi si pone al lettore secondo un modo di vedere, dove lo stesso Dio dona all’umanità lo splendore della creazione, allontanandosi così, dalla corruzione di questo mondo.
Il Cristo Pantocratore è una costruzione armonica che rispetta i canoni del colore, della luce e dello spazio, dove il personaggio vive di un’astrazione simbolica dei contenuti. Un Cristo in atteggiamento maestoso e severo, ma calmo e tranquillo, nell’atto di benedire con le tre dita della mano destra, secondo l’uso poi rimasto nella chiesa ortodossa, mentre nell’altra mano tiene il Vangelo che vediamo aperto sulle parole salvifiche ‘’IO SONO LA LUCE DEL MONDO‘’. Questa e’ un’ immagine di Dio in Gloria, l’origine, giudice finale di tutte le cose create, raffigurato spesso nei ricchi mosaici dorati che decorano tutta la Cappella Palatina di Palermo.
Un Cristo visibile con una grande forza interiore, dove ’’l’ALFA e l’ OMEGA’’, l’inizio e la fine di tutto, stanno a testimoniare la sua maestà, nell’onorarci dei suoi insegnamenti con le buone virtù della sapienza, della saggezza, che puniscono ogni vanità della carne, ma anche a sottolineare che ogni cosa lontana dalla visione celeste portano alla corruzione, in abominio agli occhi dell’eterno. Il Cristo si pone dinanzi all’uomo secondo una visione celeste dell’amore di Dio, dove lo stesso Ruggero II sentita la sua investitura da parte del cielo, quì si poteva ammirare la natura spirituale dell’opera stessa, durante la funzione religiosa. Opera molto brillante e sintetica, grazie all’uso del fondo giallo oro che metteva in evidenza l’essenza divina delle cose, poiché tutte le cose provengono da Dio.
Una descrizione biblica della visione del Pantocratore che esiste e vive, che trova la propria incorruttibilità nella scelta dei materiali che risaltano la luce, questi materiali ritenuti incorruttibili e duraturi nel tempo, ad imitazione della parola biblica che si è fatta carne e ritorna al padre per donarci la via, la verità, la vita, in colui che ci ammaestra. Assistiamo così da vicino ad una grammatica visiva di natura teologica che non lascia nessuno scampo al generarsi di altri pensieri e parole, che riportano alla sola lettura dei testi sacri, ed alla manifestazione dello Spirito Santo che si muove e vive tra i fedeli durante la Santa Messa. Il Logos incarnato, la ragione, la struttura del cosmo, sono gli elementi chiave per la lettura dell’opera citata, dove il nostro Gesù è generato ma non creato dalla stessa sostanza del Padre, che ci aiuta nella comprensione della realtà come risposta al mistero dell’esistenza.
Il Cristo Pantocratore della calotta dell’abside tiene nella mano sinistra il Vangelo aperto al versetto: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”, scritto in greco sulla pagina sinistra e in latino sulla destra.
L’aspetto iconografico di una lettura estetica delle figure che si elevano al sublime ci mette davanti alla vera lettura dell’opera artistica in tutta la sua complessità, che sarebbe da riportare all’anno 1148 solo nel tratto costituito dalla parte curva absidale dal catino in giù, e ad un secondo tempo per le figure dei Santi della parte non curva e più bassa del presbiterio, mentre ad un momento ancora successivo si riporterebbero le figure dei Santi delle parti più alte, ed infine, ad un momento ancora successivo le figure della crociera: per l’iconografia dei mosaici della curva absidale si nota che ciascuna delle figure occupa un posto nel complicato sistema decorativo che starebbe a rappresentare l’unione eterna di Cristo, capo della Chiesa celeste, con la Vergine, personificazione della Chiesa terrena, nonché con gli Apostoli e i Santi che ne sono i pilastri di sostegno, e ad esprimere, altresì, oltre all’idea dell’indivisibile unità della chiesa, uno dei più importanti dogmi della religione cristiana, e cioè quello dell’ Eucarestia. I mosaici del Santuario si dividono in tre gruppi: quelli della Cupola, quelli delle tre Absidi e, infine, quelli del Transetto.
Nella calotta interna della Cupola sta il Pantocratore, figura descritta prima in maniera più approfondita, tra quattro Arcangeli e quattro Angeli, nel Tamburo con le quattro finte finestre, stanno le quattro figure intere di Profeti e Precursori (Davide, Salamone, Zaccaria, e Giovanni Battista), con pergamene contenenti le profezie. La decorazione dell’area centrale sembra quella di un tempio greco che comprende di regola due elementi fondamentali: un ciclo cristologico ed una gerarchia di Santi. Così si scendeva dalla sfera celeste del Pantocratore alla terra, teatro della vita incarnata e sfera d’azione dei suoi Santi e Martiri. Questi elementi costituiscono il soggetto decorativo iconografico nell’area centrale del Santuario della Palatina, area che comprende, oltre allo spazio quadrato al di sotto della cupola, anche le ali laterali. La gerarchia dei Santi è abbreviata in file di Martiri che stanno in medaglioni negli intradossi degli archi sorreggenti la cupola, ma continuano sia negli archi settentrionali che meridionali dove sono rappresentati i Profeti del Vecchio e Nuovo Testamento, e sono una continuazione di quelli esistenti nella cupola. Il ciclo continua con Santi Vescovi e tre Sante che hanno reso grande il servizio alla Chiesa di Cristo in puro tema appartenente alle chiese greche.
Si può discutere sull’ampio potere visivo che dava luogo ad una comunicazione dal punto di vista normanno come i difensori della Chiesa, ma anche come apertura ad altre religioni che all’unisono, in un periodo di tollerabilità procedevano insieme per l’esaltazione della bellezza, secondo una chiave di lettura estetica della ricerca del sublime, inteso come spazio sacro aperto all’adorazione, si vede la partecipazione di un’ elevazione dello spirito per l’adorazione di Cristo in tutto il suo splendore. Dobbiamo aprire una parentesi sulla realizzazione dei mosaici del periodo normanno, per passare ad altro periodo che vede come protagonista i mosaici della Loggia e Vestibolo nella parte ovest, esterna della Cappella, all’entrata della stessa. Possiamo rintracciare in questa parte della Cappella Palatina dei mosaici interamente realizzati in un modo stilistico differente di come si presenta la stessa al proprio interno, sol perché di produzione posteriore voluta dal sovrano Borbonico durante il proprio esilio a causa della cacciata da parte dei francesi dalla capitale del regno.
Leggiamo il riquadro raffigurante i regnanti ed il genio di Palermo, ma non sfugge dall’osservare come il mosaico della loggia in chiave moderna rispetto all’interno, descriva la scena biblica di Davide e le sue battaglie che lo portano ad affrontare il suo stesso sangue macchiato di peccato, un dolore nella rivolta dove il prescelto da Dio dovrà affrontare una dura battaglia per la riconquista del suo posto di Re. Questa scena e’ descritta dalla Bibbia in 2Samuele al capitolo 19. In questo mosaico che ricopre la parte superiore della parete si osservano le seguenti immagini, compreso il Genio di Palermo con i ritratti dei Sovrani della Reale Casa dei Boroboni e ‘’Ruggero consegna la Bolla al Ciantro di Cappella’’.
Segue il ciclo narrativo nel seguente ordine: i guerrieri di Davide attaccano gli israeliti ribelli, Assalonne aggrovigliato coi capelli nei rami dell’albero, Assalonne ucciso da Joab, Davide piange la morte di Assalonne, il trionfo di Davide, ed infine Davide e Salamone. Nella considerazione di questa opera d’arte che racchiude lo splendore di questo immenso patrimonio visivo, possiamo leggere la parola per rivederla nelle pagine di colore oro che illuminano il nostro sguardo, un modo soprattutto attuale di arricchisce la nostra anima verso l’assoluto amore che ci lega alla trinità rappresentata nella Cappella stessa: le immagini che prendono forma grazie alle fede, per vivere la parola all’interno dello spazio liturgico e nella comunione con Dio Padre l’onnipotente.
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