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Tante sono le pagine del quotidiano declinate in un femminile non più sinonimo di casa, focolare, debolezza o vaghe atmosfere dalle penombre rosate. Non serve più andare lontano, alle battaglie di Boadicea nell’antica Britannia o al misticismo di Jeanne d’Arc nella Francia insanguinata dalla guerra, per poter trovare ispirazione in donne che hanno dismesso i panni muliebri per vestire l’acciaio delle battaglie, reali o metaforiche. I media ci stanno abituando a donne che in forme diverse – nel bene e nel male esattamente come gli uomini – ricoprono cariche di potere facendo sentire la propria voce al di sopra di una pletora di cromosomi XY nei ruoli istituzionali.
Non si vuole demonizzare l’uomo, si intende, spogliandolo di quegli attributi che la storia ci ha consegnato. D’altronde siamo tutte figlie di un padre che, come uomo, ci ha rese per primo consapevoli della nostra femminilità attraverso quel fisiologico meccanismo di innamoramento di una bambina verso il proprio genitore. Si vuole piuttosto ribadire l’estrema forza che le donne, più di tanti uomini, sanno dimostrare ancora oggi e più che mai.
Proprio per questa ragione non si può non ammirare il valore di coloro che, capaci di mostrare la propria voglia di fare, di esserci nella costruzione di una società finalmente plurale.
Questo ha dimostrato Marcella Cannariato, Presidente dell’Associazione Donne A.L.F.A, comitato costituitosi mesi fa che oggi opera capillarmente, con più di 400 iscritte.
Una realtà, quella del comitato, nata per la costruttiva volontà di un gruppo di professioniste e imprenditrici, al fine di creare una massa critica nei confronti dei tanti temi che affollano la nostra società e il vivere contemporaneo.
Marcella Cannariato si è spesa, in questa veste e in quella di donna in primis, giorno quattro ottobre scorso presso Palazzo delle Aquile a Palermo, onde tentare di dipanare quella matassa aggrovigliata che il post pandemia da COVID 19 ha consegnato ai cittadini e cittadine italiani.
I temi cardine del suo ricco intervento sono stati quelli legati al lavoro e all’occupazione femminile, definendoli priorità, soprattutto alla luce dei tanti, troppi rappresentanti della società civile fortemente scollati dalla realtà. Ha sottolineato come la Sicilia abbia un bisogno disperato di politiche concrete che aiutino le imprese che, a loro volta, abbiano la capacità di giovare anche sulla potenzialmente ricca industria del turismo.
Una spinta insomma che è stata capace di creare nel pieno boom economico degli anni 60 del secolo scorso, per parafrasare le parole di Marcella Cannariato, un ascensore sociale per far salire i figli di allora e che oggi, nella situazione attuale, risulta inevitabilmente fermo.
Ha poi sottolineato con fermezza la centralità del lavoro femminile, ribadendo il ruolo di nucleo centrale di questo paese rivestito dalle donne, private quante o più di altri di certezze familiari e, soprattutto, della adeguata formazione in seno alle nuove generazioni onde eliminare il gap tra il nord e il sud della nostra nazione.
Questo dunque il tema cardine, esposto con la ferrea volontà di chi è convinta non si possa più credere di continuare a ricalcare una politica procrastinatrice, propensa più a valutare gli eventuali problemi di domani piuttosto che le emergenze attuali, e talmente lassista da condurre al nulla la Sicilia, non fosse stato per le imprese che hanno avuto la forza di offrire posti di lavoro.
Ed è proprio su quest’ultime, ovvero le imprese che operano nel territorio o che potrebbero essere attirate a investirvi, che la politica dovrebbe dare una risposta chiara, decisiva, attraverso una ristrutturazione e adeguamento capillare delle infrastrutture stradali e ferroviarie del nostro territorio, onde valorizzare quel 40% dei siti archeologici e immobili storici che fanno parte integrante di una filiera del turismo che non può essere solo legata alla ristorazione et alia.
Non basta una bellezza intrinseca in Sicilia, resa tristemente sterile, per incentivare investimenti in una filiera virtuosa se, per un semplice spostamento tra i due estremi dell’isola, servono ore a causa di infrastrutture non adeguate.
Tutta questa meraviglia, che ha incantato generazioni di viaggiatori e intellettuali, non può essere destinata a essere un malinconico ricordo nel cuore e nelle menti dei nostri giovani, costretti a emigrare senza ritorno, svendendo le proprie competenze e la propria forza lavoro in giro per il mondo.
Perché se da secoli si parla di terra dei Padri e di Madre terra, bisogna necessariamente ricordarsi che, ontologicamente, senza quei figli a popolare la Sicilia si è destinati a dimenticare il nome stesso delle nostre radici.
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