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Giuseppe Patanè, dotato di un’accesa fantasia e di una vivacissima personalità, profondamente etica, raggiunge, con questa sua ultima fatica “Athanor”, l’espressione forse più compiuta del suo personale linguaggio espressivo. Proteso nella comunicazione del sofferto messaggio morale, protende a una composizione monumentale nella quale prevale la tensione plastica delle figure, della scena e l’indagine psicologica che si approfondisce mediante pennellate rapide e abbreviate, che sanno cogliere i tratti essenziali fisionomici. Riassume il viaggio dantesco su tre grandi pannelli rettangolari sovrapposti, fondendo la narrazione delle tre cantiche in un’unica realtà immaginifica che accomuna l’intera umanità, e che diventaun viaggio interiore personale dall’oscurità alla luce. Nel registro inferiore, illustra il dramma dei peccatori della quinta bolgia infernale fissato nella mirabile aderenza di un paragone animalesco di toccante intensità emotiva. Una rappresentazione drammatica ribollente di vita e di moto ricreata attraverso rapidi scorci fisionomici, volti lividi, demoniaci, sfigurati dallo strazio, e da un effetto luministico che avvolge le figure in una fiamma e si dissolve in materia incandescente.
“A colpire l’occhio dell’osservatore, nel registro intermedio – spiega lo storico dell’arte Paoletta Ruffino, promotrice della mostra – è la figura demoniaca piegata sulle gambe, più verosimilmente, identificabile con il demone Graffiacane, raffigurato mentre afferra, al cospetto dei due Poeti, col raffio le chiome inviscate dalla pegola del barattiere Ciampolo di Navarra (Inf. Canto XXII, 31-63), tirandolo su dalla pece bollente, in cui è immerso, come una lontra nera e offrendolo al ludibrio dei Malenbrache. L’individuale tormento dell’anima involta nel peccato e in via di purificazione, è concluso e compiutamente espresso nello sguardo ammaliante di Beatrice; il mezzo volto, è luminoso, ma sembra quasi che si stia sciogliendo sotto l’effetto di un calore fortissimo. La visione della Vergine, in abito bianco e manto azzurro, racchiusa in una mandorla, riprende il filo della narrazione stemperando, nella luce della redenzione, le pene purgatoriali del Poeta che, liberato dall’angelo, ascende al vero regno dei destinati alla salvezza dove, purificato, sta per annegarsi in Dio. Il miracolo di Dante, che si compie per mezzo di Beatrice – conclude – luce e speranza, diventa un segnale di fede per tutta l’umanità, e il ricordo della suprema visione, dove egli fu, “e vidi cose…”
Dopo Noto, l’opera di Giuseppe Patanè proseguirà il suo viaggio espositivo a Milano, nell’antica Basilica paleocristiana di Sant’Ambrogio in occasione della festa patronale e a chiusura del settecentenario dantesco.
La mostra a Noto, sarà fruibile al pubblico fino al 30 settembre, tutti i giorni dalle ore 9,00 alle 20,00.
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