Ho sempre pensato che l’arte sia, sì, un’avventura personale, ma che debba anche essere vissuta nella condivisione. Lo stesso modo di spiegarla non può essere puramente informativo, descrittivo, ma necessariamente partecipativo. Per sua natura l’arte attraversa la vita, lega la storia dell’artista e del suo tempo al presente del dialogo con lo spettatore. E si tratta di dialogo che si intreccia con le motivazioni profonde dell’esistenza. Attraverso l’opera l’artista narra di sè, testimonia le sue scelte, consapevolmente o inconsapevolmente si racconta. La sua è una vocazione alla comunicazione, alla condivisione. Nel momento in cui realizza un’opera egli la offre al mondo e a quanti per ventura o deliberazione si accostano ad essa. Dunque comunicare l’arte non è come
comunicare un linguaggio qualsiasi. In realtà ogni linguaggio dell’uomo si intreccia con quello dell’arte, da quello scientifico a quello giuridico e così via. In ogni caso l’arte non si insegna, si offre come viaggio umano e spirituale, si comunica come esperienza di sguardi e d’anima. E’ noto come essa determini nello spettatore un rispecchiamento piscologico.
Giorgio Agnisola
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L’arte può essere persino terapeutica nel momento in cui riporta alla coscienza sensibile di chi guarda, attraverso il riscontro emozionale, le sensazioni, i pensieri, gli ansiti interiori provati di fronte all’opera. In quel momento l’arte ci aiuta a prendere contatto con noi stessi, a leggerci dentro, a sentire ciò che siamo. Può essere altresì una via teologica nel momento in cui interpreta il nostro avvertimento di ulteriorità, l’apertura verso quel mistero di cui è tramata la nostra esistenza. All’arte ci si educa, indubbiamente. Ma sempre l’arte non si spiega: si racconta, si partecipa.
Se illustro ai miei allievi la Pietà di Michelangelo o l’Annunciata di Antonello o la Natività di La Tour o Guernica di Picasso, come posso far comprendere l’opera senza sentirla innanzitutto in me, lasciare che essa mi attraversi? Nel porgerla dovrò essere lucido per precisare i suoi riferimenti storico-artistici, spiegare i dati tecnici del linguaggio, ma dovrò anche sapermi commuovere per commuovere, entrare nella mia anima per far sì che chi mi ascolta possa entrare nella sua. Occorre insomma che l’arte sia per lo spettatore e non solo un racconto di vita.
Giorgio Agnisola
Alcune notizie in breve: membro dell’Associazione Internazionale Critici d’Arte, professore emerito di Arte sacra e beni culturali presso l’Istituto Teologico Salernitano. E’ stato condirettore dal 2006 al 2020 della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, presso cui ha diretto, tra l’altro, i corsi di Architettura sacra e il laboratorio di critica d’arte, e di cui, oggi, è coordinatore dell’Area della ricerca. È valde peritus della Facoltà per le Scienze estetico-teologiche. Dal 1983 al 1995 si è occupato di arte moderna e contemporanea dei Paesi francofoni d’Europa. In particolare ha compiuto missioni di studio in Belgio e Lussemburgo, d’intesa con le relative Ambasciate. Per tale attività ha ottenuto due riconoscimenti: Chevalier dell’Ordine di Leopoldo II in Belgio e Officier dell’ Ordine al merito del Granducato di Lussemburgo. Collabora dal 2000 alle pagine culturali del quotidiano Avvenire e in particolare alla pagina “Arte”.
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