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Alessio Batti, prete viceparroco di Montale e della Guardia a Levanto, è noto come Don Surf: “Quello sulla tavola può essere un ottimo momento di riflessione”.
Alessio Batti si divide tra religione e onde. Una storia da raccontare (e da leggere), con epicentro Levanto . Terra di mare, terra di surf. Qui Alessio, 40 anni e originario di La Spezia, vive da circa tre anni: è viceparroco di Montale e della Guardia a Levanto. A immortalarlo con la tavola è stato Stefano Guindani, noto fotografo che sta lavorando a un progetto dal nome “Mens sana in corpore sano”: una raccolta di personaggi religiosi che fanno sport in tonaca. Tra loro c’è anche “Don Surf”, così è stato ribattezzato Alessio Batti.
“La vita mi ha portato a Levanto, luogo vocato a questo tipo di sport. Ho conosciuto Gabo Raso, grande esperto in materia , che mi ha proposto di iniziare a praticarlo. Abbiamo fatto qualche uscita insieme e l’ho subito trovato molto interessante: l’acqua non era una novità assoluta, da ragazzino avevo fatto tanti anni nuoto. Anche se chiaramente il surf è molto diverso. Sono solo all’inizio: ho cominciato pochi mesi fa”.
Cosa ha di particolare il surf? “Amo gli sport che ti mettono a contatto con la natura e che si praticano all’aperto: non mi piacciono quelli al chiuso. E poi c’è il discorso del mare: dominare l’onda con la tavola è una cosa molto affascinante”.
Quanto riesce a praticarlo?
“Non sono ancora indipendente, ho bisogno di essere accompagnato e seguito. Ci vuole molta preparazione, non si devono bruciare le tappe: vale per il surf come per ogni altro sport. E in questa disciplina servono anche le giuste condizioni metereologiche : considerando il mio livello , non posso affrontare onde troppo complicate”.
Entriamo più nel profondo: il surf ha qualcosa di esistenziale e riflessivo?
“Per me tutto lo sport è fortemente legato al concetto di ‘disciplina’. Non si può praticare un’attività sportiva senza questa cosa. E la disciplina è anche l’aspetto che forma nella vita spirituale: non può non esserci. Poi il surf, in particolare, è uno sport che ti mette a contatto con la natura e che stimola considerazioni su ciò che circonda. Con tutto il rispetto, chiudersi in una palestra è un’altra cosa rispetto a fare sport in natura. Mio nonno diceva sempre che bisogna avere una sana paura del mare: quando si domina un’onda succede proprio questo. Il surf è una disciplina che fa bene perché forma la mente in un determinato modo”.
Quanto è complicato far passare questa visione dello sport?
“È molto difficile, anche perché non siamo più abituati a guardarci intorno. Diamo per scontato quello che ci circonda. Lo sport può essere invece un ottimo strumento di riflessione”.
Le piacerebbe visitare altri luoghi per fare surf?
“Molto: immagino che sia bellissimo cavalcare le onde dell’oceano , ma chiaramente bisogna essere più bravi di quanto non lo sia io ora. Anche solo fare il bagno in un oceano è una sensazione diversa e bellissima”.
Come si tiene in forma quando non esce con la tavola?
“Mi alleno un po’ in casa, ma non è la stessa cosa. Quando faccio surf sento che lavorano muscoli particolari , è fondamentale un’attività fisica propedeutica”.
Le persone la guardano in modo diverso da quando è diventato un surfista?
“Indubbiamente: il fatto che io abbia cominciato a praticare questo sport ha avuto sulle persone un impatto e ha scongelato l’idea che il sacerdote sia una persona inarrivabile. Come se fossi in una teca pronto solo a dire messa. È passato il messaggio che sono una persona con una vita ‘normale’, nonostante l’anormalità di quello che ho ricevuto dalla vita. È importante che anche un prete venga percepito come uno di casa, è un’umanizzazione di una figura che spesso rischia di essere disumanizzata”.
Quindi lo sport può essere veicolo di qualcos’altro?
“Giovanni Paolo II faceva sci in montagna e lo faceva da papa. Non penso che lo facesse semplicemente per una forma di esibizionismo. Io non vado a esibirmi, anche perché sono principiante…”.
Si sente di dare un consiglio a chi non ha mai provato?
“Il mio suggerimento è almeno di provarci perché è una bella emozione e perché è un’esperienza sana a contatto con la natura. E poi è un modo anche per conoscere meglio il territorio: è giusto che un posto come Levanto, per esempio, venga valorizzato per questo”.
È strano avere la muta al posto della tonaca?
“Sono diventato sacerdote a 37 anni e ho sempre fatto sport, sono entrato in seminario a 30… Ora è molto diverso rispetto a quando la tonaca diventava il proprio abito fin da quando si era bambini: sono abituato a indossare altro”.
Fonte:Gazzetta.it
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