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“Quando fido ci lascia”, intervista a padre Giovanni Calcara

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Cos’hai, ti è morto il gatto? È capitato a tutti di essere apostrofati così da un amico che ci ha visti un po’ tristi.

Un modo di dire tra il serio e il faceto che contiene anche due modi differenti di porsi di fronte alla perdita di un quattrozampe: un’esperienza di grande dolore in chi l’ha provata, grandi o bambini, e la noncuranza di chi – magari addirittura un
familiare, come un cugino, uno zio – non ha mai avuto un cane o un gatto (o anche un uccellino, un criceto o un pesce rosso) e pensa che sia esagerato soffrire troppo per una
creatura che può essere sostituita da un’altra.

«Chi perde l’animale amato deve fare i conti anche con la solitudine. Spesso è un dolore non compreso da chi non lo ha vissuto»,
conferma Monica Marelli, divulgatrice scientifica, illustratrice e autrice di Arrivederci Miao e Arrivederci Bau (De Vecchi editore) due libri che cercano di aiutare chi si ritrova
improvvisamente privo di un animale d’affezione. «Possiamo essere derisi, ci sentiamo incompresi e rimaniamo in balìa di un dolore che spesso ci vergogniamo a raccontare.
Ma è una sofferenza autentica, come lo è stato l’amore per l'animale che ha fatto parte della famiglia».

Il dolore va accettato: «È normale soffrire e bisogna dare spazio a questo
sentimento, senza vergognarsi, nemmeno con chi sembra non capirci. E anche pensando alla possibilità di accogliere in famiglia un nuovo quattrozampe».

Gatti e cani domestici spesso continuano ad apparire cuccioli ai nostri occhi: «Imparare a riconoscere i segni del tempo che passa – con il sostegno del veterinario – è utile per aiutarli vivere con serenità e in salute gli ultimi anni, e per aiutare noi stessi a prendere atto del fatto che prima o poi ci lasceranno. E con questa consapevolezza è un po’ più facile iniziare ad accettare l’idea che la morte fa parte della vita».
Come dirlo ai bambini? «È bene esprimersi con dolcezza – magari leggendo un racconto ad hoc – ma anche con chiarezza, spiegando che non
poteva più guarire. Va bene anche dire al bimbo che il cagnolino o il gattino è su una nuvola o che è diventato una stellina del cielo o che sta giocando con gli angeli, tutto ciò
che può rasserenarlo». Può aiutare anche un piccolo “funerale” simbolico: «Riporre in una scatola la ciotola, i giochi, la copertina preferita, la sua spazzola. Dopo un pò di tempo si
potrà decidere cosa farne: se si riesce a buttarla, significa che il dolore è ormai stato elaborato, gli oggetti non sono più impregnati del ricordo e sono tornati a essere solo
quello che sono, cose materiali senza un significato particolare. Si può anche piantare un fiore in giardino o sul balcone in onore dell’animale, affidare i pensieri di affetto, di perdita
e di speranza a un foglio oppure scriverne su un social. O, ancora, fare una donazione a un rifugio per cani e gatti abbandonati». Per padre Giovanni Calcara, domenicano del
convento di Soriano Calabro (Vibo Valentia), «Nel progetto di Dio, dopo gli uomini sono gli animali che più riflettono quanto Lui vuole che le creature, tutte, collaborino nella sua
opera creatrice. L’uomo è il custode dell’armonia del Creato, quindi anche degli animali, al punto che viene chiamato a partecipare nel dare un nome agli esseri viventi (Gen. 2,18-
20). Prendere un cucciolo abbandonato o in un canile e portarlo in famiglia è un atto di tenerezza, magari per accontentare un bambino o adolescente che tanto lo desidera. Ma
poi bisogna anche prendersene cura, mentre spesso all’entusiasmo iniziale segue disinteresse e disimpegno: ma un cane o un gatto non è un giocattolo. Occuparsi di un
animale può essere anche un modo per educare e educarsi alla reciprocità. D’altra parte, gli animali domestici non devono sostituirsi ai rapporti con le persone: se ciò accade,
spesso c’è una carenza di affettività e una perdita di fiducia negli uomini, mentre “gli animali non tradiscono” e così si proiettano cure e attenzioni sul cane o sul gatto, maggiori
di quelli che dovrebbero essere riservate ai propri simili. In questo caso, ci ricorda papa Francesco: “Questa è una falsa pietà”. Non è possibile accettare che oggi diminuisce la
spesa per beni alimentari primari mentre aumentano i costi del cibo per animali, con addirittura linee di abbigliamento o di accessori preziosi per quattro zampe: c’è chi
approfitta dell’affetto per fare business. Occorre equilibrio nel rapporto con gli animali, ma non c’è alcun dubbio che quando viene a mancare il cane o il gatto chi vive la perdita soffra, di più se era il compagno fedele di un bambino o di un anziano solo: però se una persona può colmare i suoi bisogni affettivi unicamente occupandosi di un cane o di un gatto, mi chiedo: dove sono la famiglia, la società, i gruppi, le associazioni?».
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Redazione

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