Per Laura Sartori, psicoterapeuta dell’età evolutiva e coordinatrice del progetto Gifted dell’IdO, c’è ancora molto da fare nell’ambito della plusdotazione. La terapeuta lo ribadisce al convegno in diretta streaming, che celebra i 50 anni di attività dell’Istituto e totalizza 22.000 visualizzazioni nei primi tre giorni.
Come il concetto di intelligenza, anche quello di plusdotazione è in continua ridefinizione, ma quando i gifted raccontano cosa sia per loro l’intelligenza, “riescono a farci capire la loro velocità, questo affollamento di pensieri divergenti o, potremmo dire, arborescenti. Hanno una capacità di processare le informazioni che genera tutta una serie di risposte, idee e associazioni alternative decisamente superiore a quelle prodotte da un soggetto con un QI nella media. Vivono in un mare di possibilità e di elementi creativi e originali- spiega la specialista- che a volte, però, può creare anche un affaticamento e una dispersione all’interno del loro divergere del pensiero”.
Verosimilmente, sottolinea il neuropsichiatra infantile dell’IdO Davide Trapolino, “la plusdotazione ospita in qualche modo il germe di un genio dentro quello del plusdotato. Ma il genio per definizione coglie ciò che gli altri non riescono a cogliere. Questo dono sembra essere bilanciato da un rischio costante di non aderire esattamente al cosiddetto senso comune. Quindi- precisa il neuropsichiatra- vedere le cose diversamente dall’altro non è soltanto un dono, può diventare una dannazione che amplia lo scarto tra me e la realtà trasformandosi in una difficoltà di ordine relazionale”.
A livello epidemiologico i dati sono noti. Se si considerano i soggetti che hanno un QI maggiore o uguale a 130 si parla di circa il 2,5% della popolazione, mentre quelli che hanno un alto potenziale cognitivo con QI superiore a 120 sono circa il 5-6% della popolazione. Statisticamente si tratta di uno studente per classe.
“ L’individuazione precoce- aggiunge Sartori- è fondamentale per dare il prima possibile a questi adolescenti e bambini l’opportunità di sintonizzarsi realmente con il loro funzionamento, comprenderlo, dargli un nome, descriverlo e consentire agli adulti che ruotano intorno a loro – nei contesti familiare, scolastico ed extra scolastico – di capire il perché di determinati comportamenti, risposte e anche di alcune sovrainvestimenti negli aspetti emotivi”. >Successivamente, nei casi in cui sia presente una doppia eccezionalità, l’inquadramento diagnostico non si dovrà fermare “all’etichettamento del sintomo- puntualizza Trapolino- ma deve interpretarlo come un compromesso, un’espressione sintomatologica che racconta un modo di stare al mondo e una difficoltà. Ovviamente quello che ci guida è la compromissione del funzionamento qualora il giovane gifted si presentasse alla nostra osservazione con una difficoltà, che merita un ascolto ed eventualmente la costruzione intorno a lui di un percorso terapeutico”.
Prima ancora della diagnosi, quindi, c’è l’individuazione precoce. Un processo in cui sono due gli attori fondamentali: gli specialisti e il personale scolastico . “La scuola arriva prima degli specialisti nel processo di osservazione- ricorda Sartori- gli insegnanti, che devono essere informati e formati sull’argomento, hanno a disposizione delle schede di osservazione che permettono di individuare degli indicatori e degli elementi che possono rientrare in un quadro di plusdotazione, avviando poi una verifica da parte dello specialista”. In questo senso, e da oltre dieci anni, l’Istituto di Ortofonologia ha iniziato il suo lavoro nelle scuole incontrando gli insegnanti: ha inviato a 700 scuole con cui collabora il kit per facilitare l’individuazione del gifted. “Abbiamo standardizzato il primo strumento in Italia di osservazione nel contesto scolastico ad utilizzo dei docenti, la scheda Gates-2 per l’individuazione di questi primi possibili segnali di alto funzionamento cognitivo”, fa sapere Sartori.
Un forte impegno l’IdO lo ha destinato anche alla “formazione degli specialisti, lavorando con diverse scuole di specializzazione per psicoterapeuti dell’età evolutiva così da evitare le mis-diagnosi: il confondere alcuni comportamenti correlati all’alto potenziale cognitivo con dei disturbi veri e propri”.
Infine, in ambito valutativo e clinico, l’IdO ha sviluppato “un protocollo di valutazione specifico per l’alto potenziale che va oltre la misurazione del QI. L’obiettivo e’ comprendere tutti gli aspetti emotivi e relazionali, conoscere il contesto familiare, scolastico e il rapporto del gifted con i pari. In ultimo, quando la plusdotazione è contemporaneamente presente a un reale disturbo (doppia eccezionalità), abbiamo attivato una serie di protocolli specifici di intervento, supporto e terapia con operatori adeguatamente formati”.
Ormai la letteratura scientifica ha fatto passi enormi, tanto da definire differenti tipologie cliniche di minori con plusdotazione. “Un esempio da non sottovalutare è il sottotipo gifted dell’underachievement- continua Trapolino- cioè il soggetto che non riesce a esprimere a pieno il proprio potenziale. Anzi nelle sue manifestazioni comportamentali, nella sua espressività sintomatologica, non pone prima di tutto la propria intelligenza ma il proprio disadattamento. In questo caso vi è probabilmente uno scollamento fra l’ideale, le aspettative (anche quelle familiari) e la sua capacità di ottenere risultati, che può esitare in condotte disfunzionali di tipo ansioso depressivo, o in disturbi comportamentali più conclamati. Allo stesso modo può esservi un soggetto- chiosa il neuropsichiatra- che ha un altissimo rendimento scolastico ed è a rischio di ritiro sociale, non trovando da un punto di vista della socializzazione un linguaggio comune col proprio coetaneo”.
Trapolino parla chiaramente: “Non ci interessa solo intercettare il disagio, ma l’esperienza soggettiva che il plusdotato fa del disagio. E la domanda è: ‘Esiste una peculiare modalità per questi soggetti di vivere il disagio adolescenziale?’ I meccanismi di difesa, lo sviluppo della personalità, le capacità di regolazione emotiva di base, i compiti evolutivi tipici dell’età, vengono affrontati da un’altra prospettiva? Sono tutte domande aperte e ovviamente non abbiamo risposte definite. Speriamo, tuttavia, che il nostro lavoro, prima di tutto clinico, possa contribuire ad ampliare la conoscenza su questi soggetti”.
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