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I fatti risalgono all’anno 2014, allorquando, nel mese di agosto il Lo Nero si avvalse della collaborazione occasionale di un operaio: in particolare la sfortunata vittima, mentre era intento a pulire un tratto di terreno con un escavatore ebbe a tranciare un grosso tubo di corrugato contenente all’interno un cavo tripolare di corrente elettrica a 380 Volts.
Subito interrompeva i lavori e decideva autonomamente di riparare il danno senza consultarsi preventivamente con Lo Nero, che si trovava fuori Cerda.
La vittima, così come è emerso dalle prove documentali raccolte dalla pubblica accusa, era anche un elettricista esperto specializzato negli impianti di cantiere, alle dipendenze di altra ditta e , molto probabilmente, sicuro di ciò che stava facendo, decideva autonomamente di riparare i cavi tranciati, trovando, però, la morte fulminea a seguito di un contatto diretto tra le due fasi.
Non si trattò di un corto circuito, come ha sostenuto il Procuratore Generale in udienza, ma di un contatto diretto perché sfortunatamente la vittima venne in contatto contemporaneamente con due fasi sotto tensione.
Subito sul luogo sopraggiunsero i Carabinieri, i tecnici dell’Enel, i tecnici dello Spresal e successivamente Lo Nero che rientrò immediatamente in Azienda.
La Procura della Repubblica di Termini Imerese individuò Giovanni Lo Nero quale unico responsabile dell’accaduto per non avere adottato alcune misure in materia di sicurezza sul luogo di lavoro: mancata formazione e informazione al lavoratore sui rischi derivanti dalle mansioni svolte, assenza di un piano di sicurezza, tubo interrato ad una misura inferiore a mt, 0,50.
Il GUP del Tribunale, conformante alle accuse prospettate dal PM, pronunciò una sentenza di condanna a seguito di un processo celebratosi con le forme del giudizio abbreviato.
I difensori del Lo Nero, gli avvocati Sergio Burgio ed Elisa Demma, hanno sempre sostenuto la assoluta estraneità ai fatti in contestazione del loro assistito, dimostrando, attraverso una consulenza tecnica affidata all’ingegnere Lo Torto Pasquale, che l’impianto elettrico era stato certificato a norma, che il tubo tranciato non necessitava, all’epoca dei fatti, di una posa minima sottoterra anche per la tipologia di tubazione cosiddetta “Pesante” e che la eventuale presenza dell’interruttore differenziale non avrebbe impedito l’evento morte proprio perché non si è trattato di un corto circuito ma di un contatto diretto “mano mano”, contatto dimostrato dal cosiddetto “marchio elettrico” presente sulle mani della vittima”.
I difensori hanno presentato appello e la Corte ha subito disposto d’ufficio una Consulenza Tecnica che è stata confutata in ogni sua parte dalla difesa e dal consulente ingegnere Lo Torto.
La difesa durante l’arringa ha sostenuto che il tragico evento infortunistico doveva essere ricondotto esclusivamente all’autonoma ed incauta iniziativa dell’operaio di procedere alla riparazione del cavo danneggiato senza interrompere preliminarmente l’alimentazione dell’energia elettrica della linea: si è trattato di una condotta abnorme della povera vittima che esclude, secondo la giurisprudenza costante, la penale responsabilità del datore di lavoro.
Gli avvocati difensori, Sergio Burgio e Elisa Demma, esprimono soddisfazione per il risultato processuale raggiunto nell’interesse del proprio cliente, ma anche rammarico e cordoglio per i familiari della vittima. Analogo sentimento di cordoglio e rammarico per quanto accaduto è stato sempre esternato da Giovanni Lo Nero.
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