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Tanta volte però accade che non abbiamo modo di conoscerli e viverli e allora ci dobbiamo accontentare dei ricordi dei nostri genitori che ce ne raccontano la storia, la vita ci fanno vedere oggetti che sono appartenuti a loro e noi ne ricerchiamo l’odore, l’anima per colmare quel vuoto che si è creato.
Ma quella che racconto adesso è una storia diversa. La storia di un uomo, uno studioso, di un marito, di un padre e di un nonno che per cause di forza maggiore non ha potuto svolgere appieno il suo ruolo di nonno, che tanto avrebbe voluto fare con il suo piccolo nipotino, di quasi un anno, che porta il suo stesso nome: Francesco.
Francesco ancora non può capirlo ma quando sarà grande avrà la più grande eredità che ogni futuro uomo dovrebbe avere, la saggezza di suo nonno che gli ha donato attraverso i suoi scritti: le sue poesie e i tanti libri che nel corso della sua vita lo hanno formato.
Le poesie di Francesco Giorgianni per chi ha la fortuna di leggerle sono frutto non solo di tanto studio che gli ha consentito di sapere dove si mette una virgola o cos’è una rima baciata, sembra quasi che la mano di quest’uomo sia stata guidata dall’immensa fede e spiritualità che sono stati pilastri della sua vita e che gli hanno consentito di esprimere con estrema dolcezza la parte oscura di ogni animo umano.
Il piccolo Francesco è “ricco” e ancora non lo sa è ricco di tutti quei valori che ogni uomo dovrebbe avere e che invece nella società di oggi si perdono davanti ad uno smartphone o computer mascherandosi dietro ad uno schermo, ma quello che viene scritto con penna e calamaio rimane per sempre scolpito nella propria anima.
Di seguito riportiamo una delle poesie di Francesco Giorgianni, sperando possa essere spunto di riflessione per gli uomini di oggi e quelli che saranno gli uomini di domani.
“È tempo di dare un nome al silenzio”
Ho ascoltato i silenzi della verità
E le voci dell’infinito,
i silenzi delle tombe
e i focolari della vita.
Il silenzio delle illusioni
E quello delle sciagure.
È davvero indiscreto il silenzio della vanità!
Quanto silenzio scorre nel sangue di una vergine,
nel pianto dell’esilio, nella tenerezza dei violini,
nel pensiero della filosofia, nell’immensa chiarità dei cieli,
quale sperpero di silenzio nella bellezza caduta senza felicità.
È la musica del silenzio che conforta le tenebre
Con i suoi sguardi di brividi
Come di donne che attendono l’agonia di cose ignote.
Sono invasi di silenzio gli occhi sanguinolenti del sole
Ancora pieni di vento e d’azzurro.
Una vecchia pazza, zitella e bigotta,
soffre la disperazione dei suoi muti rancori
e l’inutile cicaleccio delle labbra ormai sprecate per sempre.
Vi è il bacio di Giuda
Con tutto il suo silenzio
E le parole di Cristo senza voce!
La speranza del mare, la tristezza dei santi,
il digiuno dei fantasmi, la problematica di Dio;
questo è il silenzio della mia isola che sale come una vasta liturgia
di campane fra i rintocchi delle ore.
Un vecchio tossisce, finge di scoprire una pulce
E scuote dai piedi il cucciolo addormentato,
silenzioso compagno del far niente, fissa la sua catena
come una speranza passata, immensa, quasi inopportuna
senza clemenza, si rotola ed il respiro è la sola brezza.
Il vecchio già pensa al riposo dopo l’ultimo bosco
E le lunghe grida del silenzio eterno gli spaventano il cuore.
È il fiore delle macerie umane l’inviolato silenzio
Che, da due mila anni, bacia il risveglio dell’alba,
la morte dei poeti e l’angoscia di quel bambino
che dorme solo!
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