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La storia di Giuseppe Di Matteo è una delle più crude e sconcertanti degli anni ’90, rimasta certamente nel cuore di tutti.
L’omicidio del piccolo Giuseppe
Era il 23 novembre del 1993 quando il dodicenne Giuseppe Di Matteo venne rapito da un gruppo di uomini che agivano su ordine di Giovanni Brusca. Il sequestro avvenne nel maneggio che il piccolo frequentava. Gli uomini si vestirono da agenti della DIA e gli dissero che da lì a poco avrebbe rivisto il padre (che si trovava sotto protezione perché collaboratore di giustizia).
Da quel momento per il piccolo iniziò un calvario lungo due mesi. In un primo momento il ragazzo venne lasciato legato all’interno di un furgoncino in un magazzino di Lascari. Successivamente il bambino fu spostato altre volte, prima di portarlo nel luogo dove venne ucciso.
Franco Cataldo aveva restituito il prigioniero con una laconica motivazione: siccome si avvicinava la stagione della raccolta delle olive, gli serviva il capanno che faceva da cella del ragazzino.
L’1 dicembre 1993 alla famiglia venne recapitato un primo biglietto con scritto: “Tappaci la bocca” e con due foto del ragazzo con in mano un quotidiano del 29 novembre 1993. Fu chiaro che il rapimento era finalizzato a spingere Santino Di Matteo a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci e sull’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo.
Quando Brusca, latitante, venne condannato all’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo, questi ordinò a Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo di uccidere il ragazzo.
I tre uomini strangolarono il piccolo, che successivamente spogliarono e inserirono il piccolo in una vasca piena di acido, dove venne disciolto. Era l’11 gennaio 1996.
La scarcerazione
Franco Cataldo, oggi ottantacinquenne, è anziano e malato ed è tornato nella sua casa di Geraci Siculo per il pericolo che potesse contrarre in carcere il Coronavirus.
L’ergastolano è fuori dal carcere dal 28 aprile scorso ed era detenuto nel penitenziario di Opera (Milano): il suo nome fa parte dell’elenco di oltre 370 detenuti che in seguito al decreto sul coronavirus hanno beneficiato della scarcerazione per motivi di salute. L’istanza di domiciliari era stata presentata dalla direzione carceraria.
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