Il professore Salvatore Mantia passa in rassegna i principali eventi calamitosi durante i quali la devozione del popolo termitano è stata forte. E scrive al parroco della chiesa madre, don Antonio Todaro affinché si riprenda il culto di San Vincenzo Ferrer che nel XVI secolo salvò Termini dalla peste.
“Durante la peste che imperversava negli anni 1575-1576 – dice Mantia – i padri domenicani del convento di Termini, per lo scampato pericolo, proclamarono patrono della città di Termini San Vincenzo Ferrer”.
E aggiunge: “Lo storico secentesco Vincenzo Solìto nella sua opera Termini Himerese città della Sicilia posta in teatro così in merito si espresse: Fu di tanta devozione questo Convento appresso i Termitani, che nel contaggio del secolo passato prendendo al Glorioso San Vincenzo per patrono, e protettore della Città: restorno illesi del male, e quelli che venivano da lontano infetti di esso, in vedere il campanile della detta Chiesa di San Vincenzo sanavano”.
“Come è noto – ricorda il professore Mantia – il nostro tempio maggiore conserva l’antichissimo Crocifisso ligneo nero, già venerato nella chiesa dell’Annunziata; questo simulacro fu donato da re Alfonso di Castiglia alla città di Termini per rimedio in tutte le afflittioni, e tribolazioni di essa. Questo Crocifisso fu solennemente portato in processione per le vie cittadine durante le carestie successe nel 1618, nel 1625 e nel 1630, 1635.
Fa notare poi che “nel 1710 una terribile invasione di locuste giunse nella nostra Termini. Per placare la calamità, vista allora come una punizione divina – come attestano gli antichi documenti – i Termitani fecero molte penitenze e ancora una volta portarono in processione il miracoloso Crocifisso nero”.
Rivolgendosi al parroco della Madrice, don Antonio Todaro, il professore ha espresso il desiderio affinché in città si rinnovi il culto di San Vincenzo Ferrer, del quale a Termini si è persa memoria. E sull’esempio di papa Francesco, che pregò nei giorni scorsi davanti al miracoloso Crocifisso di S. Marcello, ha chiesto al parroco di accendere una lampada votiva ai piedi del miracoloso Crocifisso nero, esponendolo alla pubblica venerazione nell’abside del nostro tempio.
Don Antonio, prendendo atto dell’excursus storico esposto da Salvatore Mantia, ha affermato: “Desidero che la nostra preghiera sia non formale, ma di qualità; che sia quella liturgica, che la chiesa nella sua storia ha messo nelle nostre mani: le Ore, le Lodi, il Vespro, l’Ora media, la Compièta e l’Ufficio delle letture che ci mette in comunione con tutta la Chiesa. In questo momento – ha continuato il parroco – bisogna unire le forze: preghiera e carità per i bisogni imminenti delle famiglie”.
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