La guerra al Coronavirus vede ormai da mesi sul fronte gli operatori sanitari che in questo periodo hanno messo a disposizione tutto il loro sapere, ma anche tutta la loro umanità, per aiutare e sostenere i pazienti risultati positivi al Covid-19. Il loro compito, oltre a salvare vite, è stato quello di regalare parole di conforto non soltanto ai malati, ma anche ai loro parenti. Una battaglia impari che mette a rischio le loro stesse vite, ma nonostante le difficoltà non si arrendono.
Tra gli operatori sanitari del 118 vi è anche una figura di rilievo: l’autista (un uomo o una donna) che, oltre a guidare l’ambulanza, ha mansioni di tecnico del 118 esperto, infatti è uno tra i primi a prestare soccorso, è colui che si occupa di prendere tutti i parametri vitali, sa usare diverse apparecchiature mediche quali il defibrillatore, effettuare manovre di massaggio cardiaco, stabilizzare in barella, è colui che conosce le nozioni di primo soccorso pediatrico, il trasferimento in lettiga, con l’intera dell’ambulanza e può anche guidare mezzi di soccorso con luci lampeggianti blu, con allarme acustico. Un suono, purtroppo, che in questi giorni di emergenza è frequente sentire.
L’ autista, anche lui reso quasi “invisibile” dalla pesante divisa che lo protegge dal Coronavirus, deve tenere la bocca protetta dalla mascherina, gli occhi schermati dagli occhiali protettivi, che spesso si appannano a causa del respiro affannato a seguito delle molteplici operazioni di soccorso, dal tempo che scorre veloce, il peggior nemico nella battaglia ad armi impari contro il Covid-19. Quegli occhi però che sanno amare, confortare, sorridere e infondere coraggio laddove si è perso e ha lasciato posto alla paura, al terrore di non potercela fare.
Gli autisti, sia uomini sia donne, si adoperano con amore per svolgere il loro dovere, dando la parte migliore di sè, incuranti dei rischi che si possono correre in questa missione frenetica, dove tutto deve essere battuto sul tempo, che è prezioso in questa triste realtà.
L’autista è colui che, tornando dalla propria famiglia, si chiede cosa dovrà rispondere ai figli alla domanda: «Che hai fatto oggi a lavoro papà? Che hai fatto oggi al lavoro mamma?»
Quei genitori supereroi, dai cui occhi pieni di luce che rappresenta la speranza, tanto hanno dato a chi li ha solo guardati per pochi attimi da una lettiga d’ambulanza, ma che hanno riempito quel tempo sospeso di sofferenza, attimi in cui chi sta male e si trova solo confida in loro la propria salvezza.
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