I doni, che i bambini ricevono dai defunti in questa occasione sono chiamati “cosi ri morti”, poiché i genitori fanno credere ai bambini che sono stati i parenti deceduti che li hanno portati, al mattino i bambini trovavano sotto il letto o in qualche angolo della casa insieme ai giocattoli, della frutta fresca o a guscio, dei dolci tradizionali come, frutta martorana, il pupazzo di zucchero, i taralli eccetera.
In Sicilia, si crede che a celebrare la messa dei morti siano tutti quei preti che ingannarono i fedeli, non celebrando le messe per cui avevano chiesto l’elemosina. Queste anime, dunque, devono celebrare questa messa fino a che non riscattano il loro obblighi. Queste messe, sono invece ascoltate da quei morti che per pigrizia o negligenza, non parteciparono alla messa in vita, i siciliano le chiamano “ missi scrudate”.
In alcune località Siciliane, si crede, che i morti durante la festività vadano a trovare i parenti vivi, questa credenza cambia da città e in città, infatti, Ad Erice, i defunti escono dalla Chiesa dei Cappuccini, a Cianciana in provincia di Agrigento, escono dal Convento di S. Antonino dei Riformati; a Partinico, presso Palermo, indossano un lenzuolo e, a piedi scalzi recando una torcia accesa e recitando litanie, percorrono alcune strade cittadine. Anche nel catanese, e per la precisione ad Acireale, durante la ricorrenza dei morti si usa che girino per la città indossando un lenzuolo funebre, e rubando i doni ai venditori per poi darli ai bambini.
Ma la festa dei morti, non è soltanto una festa religiosa, ma anche una vera e propria tradizione culinaria, che viene festeggiata in varie parti del mondo con tradizioni culinarie e usi diversi. In Sicilia, i dolci tradizionali di questa festività come citato prima sono, “u pupaccione” (pupazzo di zucchero), la frutta martorana, i “tatoo” (taralli) e “l’ossa ri morti” (ossa dei morti), quest’ultime sono formate da due parti sovrapposte, dalla consistenza, colore e forma diversa. Questi dolcetti, grazie alla separazione dello zucchero e della farina, si dividono in due forme e colori diversi, la parte che fa la base composta da zucchero è di forma irregolare e rossastra, invece la parte superiore che è formata da farina è di forma cilindrica o romboide, bianca e infossata come un osso.
Questi biscotti tradizionali, rappresentano un oggetto nel quale vivi e morti si avvicinano di più. Attraverso questa consumazione simbolica dei morti, i bambini integrano in sé stessi non solo alcune qualità morali dei loro parenti, ma anche, inconsciamente, la sostanza per eccellenza, “ il seme” che è all’origine della vita e che in Sicilia si ritiene sia contenuto nelle ossa.
Invece, la frutta martorana, ha origini Palermitane e prende il nome del monastero di San Nicolò dei Greci, conosciuto come la martorana. Questi dolcetti, risalgono al XIII – XIV secolo, in realtà ha origini araba. La tradizione, racconta che il giardino del convento era il più bello e splendido della città, a curare quest’ultimo erano le suore che vivevano all’interno del convento.
La bellezza di questo giardino arrivò all’orecchio del vescovo, che curioso, andò personalmente a costatare. La visita, però fu fatta in autunno, esattamente il giorno di Ognissanti, le suore dunque prepararono questi dolcetti a forma di fiori e l’appesero negli alberi. Durante il 1575, la corporazione dei confettari ebbe il monopolio della produzione della frutta martorana, infatti in quel periodo il sinodo di Marzala del Vallo proibì alle suore di produrre questo dolce tradizionale perchè portava troppo distrazione al raccoglimento liturgico. Oggi, la frutta martorana insieme agli altri dolci tipici, rappresentano quella che è la tradizione dolciaria dell’intera Sicilia.
Foto in galleria Caffè Opera Termini Imerese
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