“Giovanni, amore mio, sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me, così come io spero di rimanere viva nel tuo cuore. Francesca”
Abbiamo già raccontato la storia di Giovanni Falcone e della strage di Capaci in un articolo precedente. Clicca qui per approfondire la storia di Giovanni Falcone. Clicca qui per approfondire la strage di Capaci.
Francesca Morvillo divenne così una delle prime donne magristrato in Italia.
Giudice del Tribunale di Agrigento in un primo momento, successivamente divenne Sostituto Procuratore al Tribunale dei minori di Palermo.
Chi la conobbe la descrive come una donna molto riservata, calma, sorridente ed estremamente empatica, anche sul lavoro, esercitando il suo ruolo con una grande delicatezza e professionalità esemplare.
Spinta da una grande forza, lottava per i bambini e i ragazzi che vivevano in condizioni difficili. Inoltre, grazie alla sua sensibilità riusciva a stabilire dei rapporti molto profondi e personali, anche quando era lei a rappresentare l’accusa.
Era il 1979 quando Giovanni Falcone tornò a Palermo, dopo quattordici anni di assenza, per lavorare all’ufficio istruzione della sezione penale, al fianco di Paolo Borsellino. In quel periodo alcuni appartenenti alle istituzioni perseveravano ancora nel dire che la mafia non esisteva, che era solo un’invenzione giornalistica, ignari che poco tempo dopo si sarebbe scatenata una vera e propria guerra civile.
Il ruolo scomodo di Giovanni Falcone, la perspicace logica associativa che utilizzava nelle sue indagini e il suo modo di mettere in difficoltà la magia, crearono fin da subito un clima di tensione e rischio non solo nella sua vita, ma anche in quella di chi gli stava vicino. A seguito di queste constatazioni, Giovanni e Francesca scelsero di stare insieme, vivendo la loro storia con la consapevolezza di non poter essere mai davvero liberi. La coppia, infatti, era sempre e costantemente accompagnata da una scorta, che con la massima discrezione divenne parte del loro nucleo familiare.
Con il trascorrere degli anni la tensione aumentò sempre di più, ma Francesca continuò ogni giorno di rinnovare la sua decisione, non appoggiando solo il suo compagno, ma aiutandolo nel vivo del suo lavoro. Giovanni, infatti, si fidava ciecamente del parere giuridico della sua Francesca.
Nel 1985, mentre Falcone, Borsellino e gli altri giudici del pool antimafia stavano lavorando a quello che sarebbe stato il primo maxi processo contro la mafia in Italia, i carabinieri intercettarono le prime vere minacce alle loro vite. Cosa nostra, infatti, stava organizzando un attentato.
A seguito di quelle intercettazioni, i giudici e le loro famiglie furono trasferiti immediatamente sull’Isola dell’Asinara, dove sorvegliati a vista trascorsero i mesi prima del processo. Le minacce non scoraggiarono Francesca e il suo amore nei confronti di Giovanni. L’anno seguente, infatti, ottenuto il divorzio dal precedente marito, sposò Giovanni Falcone. Ad officiale il rito civile, quasi in segreto, fu l’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando.
La coppia si giurò eterno amore dinnanzi alla presenza di pochi familiari e dei testimoni. Infine con molta semplicità al termine della cerimonia, invitò tutti in casa a mangiare qualcosa.
Chi la conobbe racconta che furono diversi i momenti di tormento e di ansia che le venivano dal condividere la vita con Giovanni Falcone. La sua riservatezza, però, non fece mai trasparire le sue angosce, anzi nei momenti di profonda tristezza e preoccupazione, Francesca stemperava la perdita della libertà con il sorriso. La coppia, Francesca in particolare, desiderava diventare madre, ma scelse che lei e Giovanni non sarebbero mai stati genitori, perché infondo, come aveva affermato lo stesso Giovanni: “non si fanno orfani, si fanno figli”.
Era il giugno del 1989, quando gli uomini della scorta trovarono nella spiaggia della villa sulla Costa dell’Addaura, una muta, delle pinne e un borsone sportivo con all’interno 58 cartucce di esplosivo, non esplose a causa di un problema detonatore. Quel giorno tutte le paure divennero certezze.
Ancora una volta scelse l’amore, ancora una volta scelse di stare accanto al suo uomo, a prescindere da ogni cosa.
Oltre che una questione di amore, per lei era diventata anche una questione di principio: cedere alla paura sarebbe significato darla vinta a loro.
Due anni dopo Falcone venne trasferito a Roma, presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Anche in quell’occasione, Francesca fece di tutto per avere un incarico in magistratura per seguire il marito.
Da Roma, quel 23 maggio 1992 partirono per tornare a Palermo per il fine settimana, come erano soliti fare.
Giunti all’aeroporto di Punta Raisi, Falcone decise di guidare la Fiat Croma Bianca che li stava aspettando. Giuseppe Costanza, autista giudiziario si sedde dietro, mentre Francesca prese posto accanto al marito.
A precedere la loro auto c’era un’alra Fiat, con a bordo i tre agenti della scorta.
Erano le 17.58 quando l’esplosione colpì in pieno l’auto della scorta, causando la morte immediata degli agenti.
L’auto di Falcone si schiantò contro i detriti di quella che la precedette.
Francesca e Giovanni morirono in ospedale, qualche ora dopo l’attentato.
Anni dopo, l’ex autista di Giovanni Falcone rese noto un biglietto trovato dentro un libro che Francesca aveva regalato a Giovanni:
“Giovanni, amore mio, sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me, così come io spero di rimanere viva nel tuo cuore. Francesca”
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